Con i cambiamenti climatici. la flora alpina si evolve rapidamente. I terreni sono un fattore determinante, ma ancora poco studiato. Nonostante siano loro a immagazzinare le maggiori quantità di CO2, non sappiamo ancora praticamente nulla su come cambieranno in un futuro più caldo, come sottolineano i ricercatori dell’Istituto federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio WSL sulla rivista scientifica «Science».
Nascosti sotto alla superficie del terreno, in alta montagna si svolgono processi estremamente importanti per il clima e l’ecosistema. Nei terreni alpini vivono oltre 10 000 diverse varietà di microorganismi come funghi e batteri. Nell’area alpina, il 90% del carbonio è presente sottoterra. Anche per quanto riguarda i cambiamenti della vegetazione alpina causati dal riscaldamento globale, i terreni giocano un ruolo fondamentale e finora completamente sconosciuto.
Ad alta quota gli effetti del riscaldamento climatico sono più marcati e fanno sì che le piante si spostino in direzione delle vette. Se, come previsto, nel corso di questo secolo le temperature aumenteranno da 2 a 4 °C, le piante potrebbero giungere ad altitudini di 300 - 600 metri più in alto. Le piante hanno però bisogno di un terreno in grado di immagazzinare sostanze nutritive e acqua. La trasformazione di questi terreni «presenta un ritardo di secoli rispetto al riscaldamento», afferma l’esperto di ecologia terrestre Frank Hagedorn del WSL. È necessario un periodo che va da un secolo a un millennio per far sì che la roccia si trasformi in terreno, come dimostrano le osservazioni svolte lungo i ghiacciai sciolti.
Ciò favorisce la diffusione climatica di piante che riescono a sopravvivere con poco terreno, come ad es. la margherita alpina o l’erba alpina. Le piante che prediligono terreni sviluppati con molto humus non riusciranno invece a stare al passo. La composizione delle biocenosi è così destinata a cambiare in modo imprevedibile, sia sopra che sotto al livello del suolo.
«I terreni sono le terre incognite dell’ambiente alpino», sottolinea Hagedorn. Ospitano la più grande biodiversità di tutti gli habitat d’alta montagna, ma delle loro funzioni conosciamo solo una piccolissima parte. Non è quindi un caso che l’articolo riepilogativo della rivista «Science», in cui Hagedorn e i suoi colleghi riassumono i collegamenti tra piante e terreno in un ambiente alpino che si riscalda, sia stato pubblicato in un’edizione speciale per il 250º anniversario della nascita del naturalista Alexander von Humboldt. Humboldt non aveva solo descritto le zone di vegetazione a diverse altitudini, ma le aveva anche confrontate tra le varie regioni montane sparse in tutto il mondo.
Accumulo o fonte di carbonio?
Le modalità con cui i terreni cambiano nell’ambiente alpino che si riscalda esercitano un impatto anche sul clima. I terreni contengono il 90% del carbonio degli ecosistemi alpini, che altrimenti darebbe un’ulteriore spinta al riscaldamento globale sotto forma di CO2. Tuttavia, questo accumulo non è identico ovunque: in prossimità del limite superiore della vegetazione, grazie al clima favorevole cresceranno più piante. Il terreno sarà in grado di accumulare più carbonio, in cambio verrà però liberata più CO2 quando si scioglierà il permafrost e il bosco di montagna migrerà ad altitudini maggiori. Infatti, anche se il nuovo bosco si diffonderà al di sopra del limite attuale, in base alle conoscenze attuali i terreni perderanno CO2.
I dati fanno supporre che, da un punto di vista complessivo, domineranno le perdite di CO2 dei terreni, prosegue Frank Hagedorn. A Davos ha svolto un esperimento durante il quale per sei anni il terreno è stato riscaldato da appositi cavi riscaldanti. Ciò ha causato perdite nell’accumulo di CO2 nel terreno e anche la diversità microbiotica nel terreno è cambiata, aumentando la disponibilità di sostanze nutritive per le piante e quindi accelerando la loro crescita.
Osservare i terreni di montagna
Sebbene questi processi sotterranei siano di estrema importanza per il clima e l’ecosistema, il terreno alpino è ancora poco studiato, nonostante ricopra ben un terzo del territorio nazionale. Nel quadro delle osservazioni nazionali esiste un unico profilo del terreno rilevato al di sopra del limite del bosco, lamenta Hagedorn. Sull’accumulo quantitativo di CO2 nel permafrost alpino non si sa praticamente nulla. E ciò vale per l’intero arco alpino. Gli autori dell’articolo propongono quindi che il terreno e i suoi organismi diventino parte integrante dei programmi di osservazione a lungo termine dell’impatto dei cambiamenti climatici sulla vegetazione, come ad es. del programma GLORIA che monitora i cambiamenti climatici della biodiversità in circa 130 cime d’alta montagna in sei continenti.
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